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Pescaresi e briganti
Anno Domini 1635

Capodacqua, Tufo e Pescara contro i masnadieri

Il brigantaggio, fu sempre una inguaribile piaga sociale e nei secoli andati, si manifestò in modo particolare presso i confini di stato.
Le ragioni erano diverse, non ultima quella della possibilità di fuggire nello stato vicino in caso di pericolo.
Tra sovrani esistevano di rado rapporti di buon vicinato e tanto meno un'intesa efficace per debbellare le bande briganteche.
Nella nostra zona di confini tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, lontana dalle capitali e da altre città importanti, i briganti erano pressochè liberi di permettersi ciò che volevano, in particolar modo se erano riuniti in grosse squadracce.
L'unica difesa valida poteva trovarsi nell'accordo fra montanari. Cosa difficile, ma possibile, come avvenne una volta, in modo veramente efficace, a dispetto dei confini e dei masnadieri.
Ce lo racconta Agostino Cappello,  nelle sue "Memorie storiche di Accumoli...", dando plauso, sia ai locali sudditi del Regno che ai contadini Pescaresi (nel Piceno), "che rannodati mostrarono ardimento e valore contro una banda di circa quaranta malviventi".
Il fatto avvenne l'undici agosto del 1635, allorchè questa masnada di briganti piombò inaspettatamente sul piccolo abitato di Poggio d'Api, depredandolo e saccheggiandolo, per ritirarsi poi sulla montagna di Pannicari: luogo boscoso ed isolato, sovrastante il paesello stesso.
La notizia però raggiunse ben presto i convicini villaggi, che si accordarono, a scanso di nuove brutte sorprese, sul modo di difendersi, stabilendo di accorrere "al primo tocco di campana l'uno in aiuto dell'altro".
Precauzione quanto mai opportuna, perchè verso le tre della notte del giorno seguente, i masnadieri scesero audacemente nel Tronto: cosa assai temeraria, non preveduta.
Traghettarono il fiume, risalirono il monte Rapino e per i castagneti di Casavecchia raggiunsero Tufo.
Ma qui gli abitanti li accolsero come meritavano: cioè con un fuoco di fucileria ben diretto, mentre la campana a stormo chiamava in aiuto i paesi limitrofi.
I malviventi, sorpresi e battuti, forse non pratici dei luoghi, cercarono scampo nel risalire la valle di Capodacqua, ma andarono incontro a numerosa gente armata, al tocco della campana di Tufo.
Lo scontro avvenne a metà strada fra i due paesi e fù particolarmente violento.
I banditi, presi di sorpresa, ne ebbero più che a Tufo, dato il maggior numero e l'esperienza degli agguerriti capodacquesi, (come li chiama il Cappello), usi a menar le mani per le continue lotte con i norcini, sui quali due anni prima avevano riportato la famosa vittoria di Forca Canapine.
Gli scampati della banda fuggirono verso Pescara, passando lontani da Tufo, ma si imbatterono anche qui, "con gli abitanti sulle armi".
Così, con gli inseguitori alle spalle, presi tra due fuochi, ben pochi riuscirono a salvarsi.
Difatti le perdite dei masnadieri, assicura lo storico, furono di ventisette morti o gravemente feriti, contro cinque caduti dei nostri tre paesi: due capodacquesi, due di Pescara e uno di Tufo.
In questo modo, la sorpresa dei banditi a Poggio d'Api, si concludeva tragicamente e per sempre nell'arquatano, non molto lontano dal luogo dove, ironia della sorte, circa mezzo secolo prima, un'altra banda della stessa consistenza numerica, era stata disarmata, spiritualmente e materialmente, e ricondotta sulla giusta via dall'ancor giovane cappuccino San Giuseppe da Leonessa.
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