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La croce astile
Arte Sulmonese, seconda metà del sec. XIII
Lamina di rame parzialmente dorato, cm. 47 x 38
Pescara del Tronto ( Arquata del Tronto ), Chiesa Parrocchiale.

L'ogetto può essere considerato come uno dei primi esempi in assoluto della lunghissima serie di croci di arte abbruzzese, principalmente sulmonese, che caratterizzarono in maniera decisa anche il panorama dell'arte orafa ad Ascoli, nel Piceno e nelle zone limitrofe almeno per i due secoli successivi, finchè non si determinò il suo superamento, durante la florida stagione della scuola orafa ascolana quattrocentesca, culminante nella figura di Pietro Vannini.
A partire dal sec. XII le croci astili ebbero duplice funzione e significato: il primo naturalmente liturgico, essendo utilizzate per finalità processionali; il secondo, di valenza civile, in quanto simbolo dell'appartenenza ad una comunità, che si identificava nella figura del Santo titolare della chiesa, che compare molto spesso ( non parrebbe il caso di quest'oggetto ), vicino alla scena della Crocifissione ( per una breve storia dell'oggetto croce astile e del suo utilizzo efr. MONTEVECCHI - VASCO ROCCA, 1988, pp. 331-336 ).


Le sue caratteristiche di estrema arcaicità rispetto ai modelli successivi sono evidenti nel materiale utilizzato, una sottile lamina di rame su di una anima di legno, nella tecnica, a stampo, che crea un oggetto molto basso, nell'assenza di elementi decorativi preziosi, che già si possono trovare nelle croci trecentesche, ma soprattutto nella resa stilistica, così arcaica, ma così vicina alle coeve realizzazioni pittoriche e scultoree di un'ampia zona geografica che comprende, oltre all'Abruzzo, le Marche meridionali, ma anche l'Umbria ed il Lazio, fino ad arrivare in Puglia.
L'oreficeria abbruzzese, fin dai suoi esempi "arcaici", in cui rientra anche la croce di Pescara, prese le origini dalla città di Sulmona, che nel Duecento assunse il ruolo di guida all'interno di quell'area da un punto di vista geografico   e   commerciale   e dunque   maggiormente   aperto   rispetto ad   altri   a  contatti  di  vario genere ( MATTIOCCO, 1996, p. 17 ).
Nei due secoli successivi gli orafi sulmonesi ebbero sostanzialmente il monopolio anche in area picena, ne sono prova i diversi esemplari di croci astili ( tra cui quelle di Castro ed Abetito, del primo quarto del sec. XV, entrambe conservate nel Museo Diocesano di Ascoli Piceno ) spesso contrassegnati dal bollo SUL, che veniva in questo modo ad assumere la valenza quasi di un "marchio di fabbrica", soppiantato poi dalla grande stagione della scuola orafa ascolana del sec. XV.


Nella struttura la croce di Pescara possiede il montante che supera di pochi centimetri la traversa, elemento che permarrà sostanzialmente immutato sino all'attività matura del più grande scultore orafo abruzzese Nicola da Guardiagrele, che invece opterà per soluzioni maggiormente monumentali, grazie ad un ulteriore allungamento del braccio verticale.
Anche dal punto di vista iconografico sono presenti tutte le soluzioni che caratterizzeranno tutti i manufatti successivi; nel recto vi è infatti la rappresentazione della Crocifissione, nella tipologia del Christus triumphans, di matrice bizantina, nella quale Gesù è presentato in posizione eretta e con gli occhi aperti, come trionfatore sulla morte.
Tale figura si trova in lievissimo aggetto rispetto ad una croce graffita a trame romboidali, elemento che è possibile ritrovare in altre croci arcaiche di ambito sulmonese contemporanee a questa o del primo Trecento (è il caso ad esempio della croce di Fagnano o di quella, che già mostra un'evoluzione stilistica, conservata nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno).
Nelle terminazioni trilobate vi sono le raffigurazioni canoniche dei "dolenti", ossia la Vergine e San Giovanni Evangelista, il quale però stranamente reca in mano una palma estremamente stilizzata.
Alla base del montante vi è la rappresentazione del Calvario, ossia un piccolo monte con al centro un teschio che allude ad Adamo, che, secondo una tradizione riportata anche nella Legenda Aurea, fu sepolto nel luogo dove fu poi piantata la Croce di Cristo, il quale viene così a rappresentare colui che con la sua morte riscatta il peccato originale; nel vertice vi è invece un Angelo ad ali spiegate.
Il verso presenta la raffigurazione "apocalittica" del Cristo benedicente all'incrocio dei bracci, seduto su di un rozzo trono che ha come base tre foglie stilizzate ed attorniato dal "tetramorfo", ossia la rappresentazione simbolica dei Quattro Evangelisti, secondo la nota iconografia che ha la sua origine nel libro di Ezechiele ( Ez 1, 5 - 10 ) e poi ripresa nell'Apocalisse ( Ap 4, 7 ), il bue per Luca, l'angelo per Matteo, il leone per Marco e l'aquila per Giovanni.
Significativamente definita dal Serra di  <<valore archeologico, non artistico>>, a volerne sottolineare i caratteri quasi primitivi, viene attribuita dallo stesso studioso a maestranze umbro - sabine piuttosto che alle officine sulmonesi e, più in generale, abruzzesi, e viene collocata, a giudizio di chi scrive forse troppo precocemente, verso la fine del sec. XII, per la frontalità della figura del Cristo e la rigidità dei panneggi dei personaggi e delle ali degli Angeli e dell'aquila ( SERRA, 1929, p. 172 ).
E' possibile ritenere che questo giudizio sia stato determinato dalla somiglianza tra questa croce ed i grandi crocifissi lignei policromi di area umbra, come ad esempio quello realizzato per Spoleto dal Maestro Alberto e datato 1187, che poterono influenzare lo studioso.
Va inoltre considerato che all'epoca della redazione dell'Inventario del Serra ( 1936, p. 193 ) lo studio sull'oreficeria abbruzzese non era stato ancora troppo approfondito.
La letteratura successiva sulla croce di Pescara del Tronto è molto scarsa; giudicata insieme con altre, probabilmente anche sulla scorta della precedente proposta, di fattura umbro - sabina nel brevissimo catalogo della rassegna ascolana del 1963 sull'oreficeria sacra nella Diocesi ( Mostra, 1963, p. 9 ), è stata successivamente menzionata soltanto nel recentissimo Atlante, come primo episodio in assoluto delle "presenze" di orafi abruzzesi in area picena ( MONTEVECCHI, L'oreficeria, 2006, p. 55 )



Tratto da "Le trame del Romanico" - di Giuseppe Clerici




La Croce astile del XIII secolo  

All'interno della chiesa, in una buca ricavata nella zona destra della parete di fondo, contenuta e protetta in una teca lignea con vetro, è esposta la croce astile appartenente al corredo sacro della parrocchia.
Il manufatto è considerato tra le croci metalliche giunte ai nostri giorni nel miglior stato di conservazione della regione Marche.

La croce è stata catalogata nell'anno 1963 come un'opera umbro-sabina realizzata nel XIII secolo. La letteratura più recente la classifica, con maggior precisione, come un oggetto d'arte sacra proveniente dalla scuola di oreficeria abruzzese di Sulmona, realizzato nella seconda metà del XIII secolo. Simili ed appartenenti alla stessa produzione vi sono anche le croci astili di Abetito e di Castro, del XV secolo, custodite presso il museo diocesano di Ascoli Piceno.

L'oggetto liturgico è caratterizzato da connotati di «estrema arcaicità» e si mostra privo di elementi che ne impreziosiscano la composizione. La croce è costituita da un'armatura di legno rivestita da una sottile lamina di rame dorato, lavorata con la tecnica dello stampo e misura cm 47 per 38 sviluppando un modestissimo spessore.

Utilizzata durante le processioni fissata ad una lunga asta di circa due metri, era portata dal crucifero che precedeva il sacerdote ed apriva il corteo religioso che attraversava le vie del paese.

La struttura di questa croce si eleva dal montante che oltrepassa di poco la traversa. La decorazione presenta al centro l'immagine della figura del Cristo crocifisso riconducibile ai canoni dell'iconografia bizantina, quindi un Christus triumphans, ritratto in piedi e con gli occhi aperti, che trionfa sulla morte. La composizione centrale è leggermente sollevata dallo sbalzo della croce, sui cui è inchiodato Gesù, decorata con trame romboidali riproposte anche in quella di Fagnano o dell'altra conservata presso la pinacoteca civica ascolana.

Le quattro estremità dei suoi bracci sono trilobate ed accolgono i simboli dei dolenti: la Madonna, a sinistra, e san Giovanni apostolo ed evangelista, a destra, che reca in mano una palma. Alla sommità vi è un angelo con le ali aperte e alla base del montante la raffigurazione del monte Calvario con al centro il teschio di Adamo. In questa rappresentazione si ritrova il riferimento al racconto riportato anche nella Leggenda Aurea secondo cui nel luogo dove fu piantata la croce di Cristo fu sepolto Adamo che con la sua morte si riscattò dal peccato originale.

Il verso della croce è decorato dalla presenza di Cristo benedicente, seduto su un semplice trono contornato da un tetramorfo dei quattro evangelisti: in alto l'aquila di san Giovanni, a destra il leone di san Marco, in basso l'angelo di san Matteo e a sinistra il toro di san Luca.
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